giovedì 27 settembre 2012

Uno.




                                      

« Quando ero piccola andavamo ogni anno in montagna. Era un paesino piccolissimo, poco sopra il lago di Como, dove non c'era quasi nulla da fare; in effetti passavamo le giornate giocando vicino alla chiesa, in un parchetto che aveva solo due altalene malmesse e uno scivolo semi arrugginito.
Una volta, avrò avuto circa nove anni, mi sono persa.
Ero seduta a un tavolino del bar dell'albergo e leggevo un libro, mi sembra “Lo Hobbit”; quando scese mia madre e mi chiese se avessi voglia di andare con lei e mia sorella più piccola a fare un giro, io rifiutai: ero troppo presa dal mio libro, e non mi andava assolutamente di interrompere la lettura.
Sarà passata un'ora, o anche meno, e decisi di raggiungerle, solamente che non ricordavo per niente dove fossero andate; già allora, quando ero particolarmente immersa in un racconto, non ascoltavo nulla di ciò che mi veniva detto. Chiesi agli altri clienti del bar (erano sempre gli stessi, ormai ci conoscevamo tutti) se sapessero dove fosse mia madre, ma a quanto pare ognuno pensava che fosse andata in un posto diverso. Comunque, il paesino era molto piccolo, per cui decisi di cercarla per conto mio.
Percorsi la via principale, superando il piccolo negozio di alimentari con le pareti rosa stinte e la gigantesca scritta, di un rosso scolorito “ALIMENTARI-MACELLERIA”. Era quasi ora di pranzo, e per strada non c'era nessuno, nemmeno le vecchiette che facevano l'uncinetto sulle panchine fuori dalle case.
Ad un certo punto arrivai in vista della chiesa: era quasi la fine del paese, e non avevo ancora trovato mia madre. Gironzolai ancora un po', inoltrandomi negli stretti vialetti che si diramavano tra le case, fino a quando arrivai in una zona che non conoscevo.
Da lontano mi sembrava di sentire mia madre che chiamava il mio nome; mi girai, convinta di vederla arrivare, una macchia scura contro il verde dei prati che circondavano le case in pietra grigia. Invece dietro di me c'era solo la strada vuota, che verso l'orizzonte diventava tremolante a causa del gran caldo. Non si sentiva un rumore.
Iniziai ad agitarmi; non sapevo con certezza dove mi trovassi, e soprattutto come avrei fatto a tornare indietro. Le case sembravano diventare sempre più alte e soffocanti, non riuscivo quasi a vedere il cielo. Improvvisamente, dal balcone di una grande casa che non avevo mai visto, uscì una donna molto giovane, vestita di bianco. Mi chiese se avessi bisogno d'aiuto, e io le spiegai che mi ero persa, che stavo cercando di trovare mia madre. Prima che lei potesse rispondermi, sullo stesso balcone uscì una signora sui sessant'anni, che intimò alla donna di rientrare e di pensare ai fatti suoi. Senza la minima protesta lei si affrettò dentro con un'espressione malinconica, e la signora chiuse le ante di legno scuro, abbandonandomi lì, in attesa di una qualche risposta.
Ero di nuovo sola. Incominciai a correre e a gridare “Mamma! Mamma!”, senza sapere bene dove mi stessi dirigendo; per strada non c'era nessuno, le case sembravano vuote e il caldo era asfissiante.
Inciampai diverse volte, le ginocchia sanguinavano e mi facevano male; avevo la faccia sporca di lacrime e terra e non riuscivo più ad urlare. Caddi per l'ennesima volta, ma quando alzai lo sguardo mi ritrovai davanti il negozio di alimentari,con la sua facciata rosa e la sua scritta scolorita. Di fianco alla porta d'entrata c'era mia madre, che mi aspettava sorridente: “Continuavo a chiamarti - mi disse – non sentivi?”
Ero tornata».

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